L'errore comune nell'Outreach Mail B2B
Le campagne di Outreach sono composti da molteplici elementi. Tutte concorrono ad una buona o una pessima riuscita dell'azione di marketing, quindi è bene analizzarle
13 Ottobre 2025
Di Fabio Guercio
Hai mai inviato decine (o centinaia) di mail in una campagna di Outreach solo per vedere pochi risultati concreti? Non sei l'unico.
Oggi ti porto dietro le quinte del processo MUITO.digital per capire cosa distingue una vera strategia di Outreach da una semplice automazione di email, e quali sono i passaggi chiave per trasformare ogni invio in una relazione di valore.
Relazione, non automazione
L’errore più comune? Avere un approccio quantitativo: si pensa che “più mail” significhi “più opportunità”. In realtà, senza la costruzione di relazioni autentiche, anche la migliore automazione rischia di non portare i risultati sperati. Il sistema di Outreach efficace parte dalla volontà di instaurare rapporti reali con persone reali, trasferendo valore e competenza al nostro interlocutore.
Lista contatti e mancanza di personalizzazione
Spesso si parte con una lista di contatti scarsamente qualificata e messaggi generici. Questo porta a tassi di risposta molto bassi. Serve invece uno studio accurato di mercato e delle esigenze del proprio target, investendo tempo nell’analisi del cosiddetto ICP (Ideal Customer Profile): chi è il decisore giusto? Che azienda rappresenta? Quali sono i suoi obiettivi?
L’importanza dell’arricchimento dei dati (Enrichment data)
Una volta individuato l’ICP, non basta fermarsi lì: approfondire i dati diventa essenziale. Ad esempio, il momento della vita di un’azienda (startupper con nuovi capitali vs azienda da tempo in stallo) cambia completamente la propensione al dialogo e alle partnership. Enrichment significa aggiungere contesto per scegliere il timing e il messaggio giusto.
Setup tecnico e deliverability: la mail deve arrivare
Non basta scrivere: bisogna essere certi che la mail venga ricevuta e letta. Il setup tecnico del dominio (DNS, reputazione, warm up della casella) gioca un ruolo chiave nella deliverability. Meglio partire con piccole quantità di invio (ad esempio da 5, per salire progressivamente fino a 50 mail/giorno) che rischiare la “blacklist” da spammer.
Migliorare sempre la comunicazione
Il cuore della strategia è il copy della mail. Alla base: smettere di essere autoreferenziali. Non basta dire “siamo bravi”, ma spiegare che problema possiamo risolvere, magari toccando un trigger attuale dell’azienda (esempio: “Abbiamo visto che state ampliando il team marketing, spesso in questa fase i clienti si affidano a noi per automatizzare la generazione contatti…”). Personalizzazione è parola-chiave, e va ben oltre il solito “ho visto il tuo profilo su LinkedIn”.
L’approccio sistemico: testare, migliorare, reiterare
Una campagna di Outreach non è una one shot: non funziona come un ads su Google o Social. Serve pensare in ottica di sistema, ponendo attenzione all’analisi costante dei numeri: open rate, risposta, click, ICP che hanno funzionato meglio. Il vero valore è in un processo iterativo dove ciascun ciclo serve a migliorare il successivo.
Fare Outreach non significa “sparare nel mucchio”, ma costruire, testare e ottimizzare un vero sistema di acquisizione lead B2B.
Fabio Guercio, Head of Marketing @ MUITO.digital
Growth agency specializzata in Outreach Mail B2B.
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